Il viaggio Verso
Betlemme di Joan Dirion
attraversa un momento prospero ed effervescente della vita americana nel cuore
del ventesimo secolo, tra il 1961 e il 1968, eppure evidenzia in presa diretta
“la prova tangibile dell’atomizzazione, la dimostrazione che le cose cadono a
pezzi”. Anche quando il prodotto interno lordo è alle stelle e metà della
popolazione ha più o meno venticinque anni. Per quanto coinvolta, partecipe,
vicina e attenta, Joan Didion è un’osservatrice molto acuta, che riesce a
mantenere un distacco spontaneo per riuscire a cogliere una prospettiva
singolare e precisa. Un’attitudine che discende dalla sua personalità che lei
stessa riconosce “così minuta, così caratterialmente riservata, e così
nevroticamente inarticolata che la gente tende a dimenticare come la mia
presenza vada contro i loro migliori interessi. Ed è sempre così”. I soggetti e
i temi centrali dei saggi e degli articoli sono tra i più disparati: si va da
un ritratto di John Wayne al reportage da Pearl Harbour, dove Joan Didion si
stupisce di commuoversi di fronte alle corazzate affondate, dall’intervista a
Joan Baez alla rilettura di un cold case di cronaca nera, dal suo arrivo a New
York all’esperienza in Haigh Street tra i Grateful Dead e Allen Ginsberg fino a
un matrimonio a Las Vegas e alle paranoie di Howard Hughes. Tutti svolti con
una scrittura fluida, pungente e colta, per cui le caratterizzazioni dei
personaggi formano la parte essenziale di Verso Betlemme perché “le nostre persone preferite e le
nostre storie preferite diventano tali non per una virtù intrinseca, ma perché
rappresentano qualcosa di profondamente radicato, qualcosa di inconfessato” e
comunque quale che sia l’argomento Joan Didion concede poco, rimane incollata
alla sua percezione e, a distanza di mezzo secolo, la sua visione è ancora
molto nitida. Joan Didion ha soltanto il necessario spessore per confrontarsi
con tante, differenti realtà: ha anche il coraggio di esprimere quelle
perplessità e quel pensiero critico che qualcuno vorrebbe ridurre a moralismo e
che invece è un punto di vista, un’osservazione, una linea tracciata, una
scelta di campo. Il vero dilemma che alimenta Verso Betlemme è piuttosto che “ogni incontro esige
troppo, logora i nervi, prosciuga la volontà, e lo spettro di un’inezia come una
lettera non evasa provoca un senso di colpa così sproporzionato, che rispondere
alla lettera diventa impossibile. Assegnare il giusto peso alle lettere
inevase, liberarci dalle aspettative degli altri, restituirci a noi stessi:
ecco dove risiede il grande, singolare potere del rispetto di sé. Senza questo,
finiamo per scoprire l’ultimo giro di vite: fuggiamo per trovare noi stessi, e
non troviamo nessuno in casa”. Verso Betlemme è una rappresentazione efficace della battaglia di
Joan Didion al confine tra giornalismo e narrativa e, oltre a rivelare un
talento indiscutibile, capace di fondere la profondità delle analisi con un
tono sempre eloquente, è la prova di un raro acume, ancora intatto.
Nessun commento:
Posta un commento