La missione di Kurt Mondaugen, giovane ingegnere
tedesco, è quella di scoprire la natura e l’evoluzione degli “sferici”,
misteriosi fenomeni sonori che fluttuano enigmatici nel corso di “anni
innaturali”. E’ la primavera del 1922 e il suo destino lo porta nel
protettorato sudafricano, colonia tedesca diventata una terra di nessuno
all’indomani della sconfitta nella prima guerra mondiale. La cupa atmosfera che
lo accoglie è l’elemento determinante e chi ci arriva trascinato dalle onde di V. sa che “non si trattava
neppure di una depressione economica: era una depressione dell’anima, la quale
sicuramente infestava tutta l’Europa, così come infestava quella casa”.
Mondaugen vi si ritrova imprigionato per via di “una parola sola, ma
sgradevole: rivolta” e sono gli herero che dopo anni di torture e vessazioni
cercando la vendetta o la libertà o tutte e due. La resistenza si trasforma in
un “Assedio-Party”, un enclave in cui la decadenza umana e politica si
materializza in un convivio di ambiguità e distorsioni, “un piccolo conclave
europeo”, l’estremo residuo di un’avventura che “mancava di senso pratico, che
era gravida di idealismo, di fatalità. Come se prima i missionari, poi i
commercianti e i minatori, e infine i coloni e i borghesi, avessero tutti avuto
la possibilità di ottenere un successo, di riuscire in qualcosa, e avessero
fallito, e ora era venuta la volta dell’esercito”. Il ritorno in forze delle
armate e delle granate, il rinnovato massacro dei ribelli, non sembra scuotere
più del tanto La storia di Mondaugen perché, come lascia filtrare con ineguagliabile
maestria Thomas Pynchon, “forse siamo i pesi di piombo di un orologio a pendolo
immaginario, necessari a tenerlo in funzione, per far sì che il senso ordinato
del tempo e della storia prevalga sul caos”. Un ciclo criptico almeno quanto
l’origine degli “sferici”, che lascia sospese nell’aria moltitudini di domande
e suggestioni di cui la scrittura di Thomas Pynchon sembra cibarsi con avidità.
Anche per questo La storia di Mondaugen non è solo la parte centrale di V. ma una sorta di
repubblica di Weimar nell’Africa subtropicale: un presagio, ancora adesso,
ovvero un secolo dopo, “terrificante ma necessario”, per dirlo con le parole di
Thomas Pynchon. Per estensione, e per comprenderne la dimensione visionaria,
vale la pena di ricordare anche
l’incipit del capitolo successivo: “Sfortunatamente, bastano una
scrivania e il necessario per scrivere per trasformare una stanza qualsiasi in
un confessionale. Questo forse non ha nulla a che vedere con le nostre azioni e
con i nostri mutevoli umori. Può darsi che la forma della stanza, un cubo, non
abbia di per sé alcun potere di persuasione. La stanza si limita a essere. Occuparla, voler
trovarvi una metafora per la memoria, è colpa nostra”. Più che un estratto di V., La storia di
Mondaugen,
è il nucleo di un capolavoro, è la tolda di un secondo Titanic prima
dell’apocalisse, è il cuore di tenebra, l’infinita angoscia di un’umanità
fottuta per sempre.
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