I
bersagli sono sempre gli stessi: i Rolling Stones, Miles Davis, Bob Dylan
e Lou Reed, a cui Lester Bangs dedica “una giornata perfetta” con il titolo di Sordomuto
in una cabina telefonica. Tra i Deliri,
desideri e distorsioni viene
annoverato anche un viaggio nella Giamaica di Bob Marley e un paio di
trasferte tra l’inferno e/o il
paradiso a intervistare Jimi Hendrix e Jim Morrison, poco prima di raggiungerli
davvero. Gli usi, i costumi e soprattutto i consumi di Lester Bangs (“Uso droga
solo perché nel ventesimo secolo, nell’era tecnologica, se vivi in una
metropoli ci sono alcune droghe che devi prendere anche soltanto per essere
normale come un cavernicolo. Non soltanto per esaltarti o per deprimerti; ma
ormai per ottenere l’equilibrio devi prendere certe droghe. Non servono nemmeno
più a sballarti, servono a renderti normale”) non sono mai stati tanto
politically correct e sono stati la sua irriverenza, il suo particolare flusso
di coscienza, la forma scoppiettante e iconoclasta a definirne lo stile che lui
stesso definiva così, introducendo uno di suoi (e nostri) amatissimi outsider,
David Johansen: “C’è una differenza importantissima tra moda e stile:
è come la differenza tra normale e
sano. La norma è la malattia e i
New York Dolls erano anormali ma incredibilmente sani; avevano stile, e lo
stile è una cosa che si può possedere solo per natura: è l’incarnazione
concreta dell’originalità, della personalità spiccata. Mentre la moda è solo un
mucchio di stronzi che ti dicono come dovresti vestirti e comportarti in ogni
situazione”. Questo era Lester Bangs, in salute, libero di contraddirsi e
libero dalle ipocrisie, sfrontato e sincero, fino al midollo, persino con se
stesso. Un caso a parte, ed è incidentale che la sua verve abbia incrociato il
rock’n’roll. Avrebbe potuto scrivere qualsiasi cosa, come faceva il suo collega
Hunter S. Thompson, e sarebbe comunque stato un corpo estraneo, una mina
vagante, un ribelle senza causa caotico e beat, nel senso di battuto e nel
senso di pulsante. Tranchant ed eccessivo anche nel riconoscere i propri
limiti, come quando scrive: “Io probabilmente sono ingiusto nel volere che
chiunque definisca tutto in modo così esplicito, nel pretendere che il resto
della razza umana (e, ironia della sorte, anche artisti e musicisti) sia
verbale o verbosa quanto me”. Va da sé che la lettura è sempre uno spasso e che
molte delle sue recensioni, hanno scritto la storia sul versante più decadente
e autoreferenziale del rock’n’roll, così come è rimasto una clamorosa
incognita, come riconosceva in prima persona: “Il punto è che non ho la più
pallida idea di che tipo di scrittore sono, se non che so che sono bravo e che
molta legge la roba che scrivo, di qualunque genre sia, e mi va bene così”.
L’autoritratto è perfetto se aggiunge quello che scriveva in coda
all’immaginario dialogo con la voce, il corpo e lo spirito dei Doors, con cui
ha trovato un feeling unico perché, parole sue, “non bisogna per forza separare
il pagliaccio dal poeta”. Valeva per Jim Morrison, vale ancora per Lester Bangs.
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