Nel rileggere con La bellezza e l’orrore i destini travolti
dalla prima guerra mondiale, Peter Englund chiama “un universo emotivo” quello
che si è sviluppato trincea dopo trincea, battaglia dopo battaglia, massacro
dopo massacro. Il punto di vista della sua analisi, sottolineato dal titolo, è
molto coraggioso perché non si accontenta di descrivere lo spirito malefico
della guerra. Parte dal fatto che per un’intera generazione di giovani europei
all’alba del ventesimo secolo lo scoppio delle ostilità fu salutato come una
possibilità di cambiamento, persino eroico. Poi la guerra li ha privati di
tutto “della giovinezza, delle illusioni, della speranza, dell’umanità. Della
vita”. Non solo: La bellezza e l’orrore spiega come “la guerra mette a
disposizione pretesti, crea dicerie, interrompe le comunicazioni, semplifica i
ragionamenti, trasforma la violenza in norma”. L’incontro di Edith Wharton con
H. Macy Greer, un autista del Corpo di Soccorso Americano, da cui si genera Il
ritorno a casa
sembra condensare quell’atmosfera in un gomitolo di storie che si avvolgono una
dentro l’altra. Edith Wharton riprende le testimonianze del suo ospite e la sua
versione delle notizie dal fronte occidentale è uno sguardo dentro e attraverso
le tenebre, nelle pieghe emotive di incontri e addii che sono sempre estremi e
dolorosi, perché circondati da un’aura percettibile di mortalità, che assume
forme mutevoli perché “l’orrore non è certo diminuito, ma i nervi cominciano a
essere abituati a un simile spettacolo. Senza scordare che, in quei primi
giorni, i frammenti di esperienza ritorti a ciascuno parevano brandelli di
carne mandati in aria dalle granate. Adesso le cose che sembravano disgiunte
cominciano a collegarsi fra loro e dai campi di battaglia riemergono le ossa
rotte della storia”. L’aria nei campi e nei villaggi francesi è cupa e
apocalittica, ma Il ritorno a casa incanta con una scrittura sempre attenta,
misurata, piena di raffinata grazia. Eppure se la forma induce a pensare a una
delicatezza, a una particolare premura nello svolgere le parole, in Edith
Wharton è chiarissima la percezione con cui “la bellezza e l’orrore” si
attorcigliano. A suo tempo Wallace Stevens scriverà che “la guerra è solo una
parte di una totalità in tumulto” ed Edith Wharton sviluppa il suo tentativo di
fare ordine in un racconto limpido, elegante, fluido, distaccato nello stile
eppure appassionato nel ridisegnare i contorni atroci della prima guerra
mondiale. L’effetto è spiazzante perché Edith Wharton ricolloca minuscole
porzioni di esperienza umana, come se dovesse ricomporre uno specchio andato in
frantumi. “Questa guerra finirà per insegnarci a non aver paura dell’ovvio!” è
la rivelazione che concede Il ritorno a casa perché la dimensione
degli uomini è schiacciata dalla cupa immensità del conflitto, dall’angoscia
quotidiana di vite che sono accompagnate passo dopo passo a fraternizzare con
la morte, che sembra l’unico destino possibile, peraltro persino un sollievo
(alla fine, quando resta solo l'orrore).
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