Nelle tre storie raccolte in Una rosa per Emily c’è sempre una finestra socchiusa da cui si intravede la storia, come se William Faulkner volesse farci entrare nei racconti da un passaggio segreto, riservato e particolare. Succede, prima di tutto, proprio in Una rosa per Emily, dove nel profilo di un’ombra si cela una donna che “passò da una generazione all’altra, amabile, ineluttabile, impervia, tranquilla e perversa”. La capacità di concentrare tutta l’evoluzione di un personaggio e della sua esistenza in una dozzina di parole, metà delle quali aggettivi, è eloquente dello stile di William Faulkner che è altrettanto abile nel tenere nascosta e sospesa la trama del racconto fino alle ultime battute. A scoprire cosa si cela nel mistero è il sindaco Sartoris e la sorprendente conclusione di Una rosa per Emily che è a sua volta un nuovo inizio perché la sua apparizione inaugura (il romanzo omonimo uscirà subito dopo) un parte fondamentale dell’universo faulkneriano, quello ambientato nella contea di Yoknapatawpha. Se la presenza di Sartoris suggerisce una connessione, una continuità con i romanzi e la narrativa (in generale) di William Faulkner, anche i racconti di Una rosa per Emily hanno un taglio da classico e sono intrecciati tra loro dal gusto supremo per il dettagli. E’ ancora una finestra a incorniciare la dolorosa vita di Miss Zilphia Gant: una figlia devota alla madre in modo assoluto e insindacabile Anche qui, i personaggi vivono costretti in circostanze claustrofobiche che sono gabbie mentali e linguistiche, prima ancora che ante e porte sbarrate. Sono “le cieche macchinazioni del fato” o “il clamore di una disperazione lontana” a definire quella “specie di felicità negativa”, un ossimoro che appare nell’ultimo racconto, Adolescenza, e che spiega molto della narrativa di Faulkner e che lega una con l’altra le vite e le storie di Una rosa per Emily. La ribelle Juliet, protagonista di Adolescenza, “si sentiva come chi ha appena tirato i dadi e deve aspettare un’eternità prima che si fermino”. Indesiderata e odiata (ricambiata) dalla nuova moglie del padre, Juliet si è rifugiata dalla nonna nel pieno dell’Adolescenza, appunto, un’età di metamorfosi e di mutazioni, “l’età ingrata”, come la definisce William Faulkner. Il paesaggio rurale e selvaggio, l’evolversi delle stagioni che determinano un ritmo, la natura stessa del racconto, le coordinate dei luoghi e delle circostanze, lasciano intuire, in un confronto impari, l’ineluttabile precarietà degli esseri umani: “Ora che il vento era calato, gli alberi erano fermi, incorporei e immobili come riflessi; aspettavano, pagani e indifferenti alle chiacchiere sull’immortalità l’inverno e la morte”. Anche nello spazio aperto “e vuoto e sconfinato” Juliet è circondata e la scoperta di un’amicizia sarà un’effimera e penosa parentesi nella “silenziosa routine delle faccende e nei sogni solitari del crepuscolo”. Sinuosi e snodati come serpenti a sonagli, i tre racconti di Una rosa per Emily mordono sempre nel finale, e lasciano il segno.
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