Quello che bisogna sapere è già nelle prime due
righe dell’incipit: “Non si tratta di un fiume qualunque. Al contrario, tutto
ciò che lo riguarda è straordinario”. Il Mississippi è l’America: è movimento,
unisce e separa, alimenta e distrugge e il suo bacino, insieme a quello del
Missouri, non solo è “la seconda valle del mondo, per grandezza”. Incarna “the
face of the nation”, il volto di una nazione che è sempre indefinibile, a
maggior ragione trattandosi di un’entità volubile come l’America. Mark Twain non
poteva resistere alla tentazione di ricominciare qualcosa rimasto in sospeso,
quando aveva percorso il Mississippi come aiuto pilota e decise di assecondare
“il desiderio di rivedere il fiume, i piroscafi e quanti dei ragazzi fossero
rimasti ancora; pertanto decisi di andarci. Arruolai un poeta che mi facesse
compagnia e uno stenografo perché prendesse delle note e mi misi in viaggio
verso ovest intorno alla metà di aprile”. L’esperienza giovanile e il viaggio
di Vita sul Mississippi sono divise dalla guerra di secessione, tema ricorrente
perché come gli fa notare uno gli interlocutori: “Si sarà ovviamente reso conto
che parliamo quasi sempre della guerra. Non è perché non ci sia nient’altro di
cui parlare ma perché non c’è nient’altro che ci interessi tanto. E c’è
un’altra ragione: durante la guerra, ciascuno di noi pare aver testato
personalmente tutte le diverse varietà dell’esperienza umana; di conseguenza,
non si può menzionare una faccenda pur remota senza rammentare ad un
ascoltatore qualche cosa che sia accaduta nel corso della guerra”. Ricollegarsi
al Mississippi, ai sedimenti naturali, geologici e storici, all’orgoglio di
vivere nel
fiume più che sul
fiume, è in qualche un modo per tornare all’inizio, alle forme primordiali di
un’idea, di uno spirito, persino allo stupore per un territorio e un paesaggio
che “è una meraviglia. Una meraviglia e uno spettacolo delicato e ricco. E
quando il sole è alto in cielo e distribuisce una vampata rosa qui e una
polvere d’oro là e una cortina di foschia color porpora dove ottiene l’effetto
migliore, si può stare certi di aver assistito a qualcosa che resterà nella
memoria”. La Vita sul Mississippi è quasi un’elegia, nella suo armonioso
svolgersi di dettagli quotidiani, a una visione americana, distrutta per sempre
dalla guerra civile, come se il fiume con il suo snodarsi attraverso la nazione
fosse un riparo e insieme un punto fermo insieme alla certezza che il primo
pioniere della civiltà, l’avanguardia della civiltà, non è il piroscafo, non è
la ferrovia, non è il giornale, non è il missionario, bensì il whisky! Proprio
così. Date un’occhiata alla storia e vedrete”. Siamo già nel finale e Mark
Twain non resiste alla sua vena caustica, tanto che diventano chiarissime le
parole con cui lo ritraeva Jorge Luis Borges: “Nel caso particolare di Mark
Twain, un fatto è indiscutibile. Mark Twain è immaginabile soltanto in America.
Non sappiamo, non lo potremo mai sapere, quello che l’America gli ha tolto”.
Quello che gli ha dato, è tutto nella Vita sul Mississippi.
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