Uno
degli aspetti più curiosi e interessanti della vita di Neil Young è che trova
un nome per tutto. Non c’è automobile, caravan, chitarra, garage o abitazione a
cui non abbia dato un appellativo neanche fossero esseri umani. Si capisce che
è un uomo dalle mille passioni, tutte vissute in modo viscerale ed emotivo, con
un’idea tutta sua della disciplina (ammesso che con Neil Young possa essere
usato questo termine) o del lavoro. La sua storia, più che la sua
autobiografia, è un’altalenante e irriverente carrellata di colpi di testa e
sbalzi di umore dedicati di volta in volta alle chitarre, al modellismo
ferroviario, alle automobili, al confronto con le rivoluzioni digitali, alle
sue rock’n’roll band. La congiunzione di questi punti sparsi in modo bizzarro danno
forma e fanno emergere il paradosso della sua coerenza e in fondo quello che Il
sogno di un hippie nella sua
essenza. Fedele alla sua natura di “cavallo pazzo”, Neil Young scrive con lo stesso istinto delle convulsioni
chitarristiche e, come si può immaginare con una certa facilità, la cavalcata è
accidentata e piena di imprevisti perché rimane un incallito e indomito
sognatore. Ingenuità ed eccentricità convivono da anni e contribuiscono a
delineare una personalità unica, e non lo scopriamo certo oggi. Quello che si
trova, anche soltanto sfogliando Il sogno di un hippie, è una collezione disordinata di anni in cui è
stato accumulato un po’ di tutto. Come dal rigattiere dove Neil Young e il suo
fedele art director comprarono il posteriore della Cadillac del 1959 poi
insabbiato nella copertina di On The Beach (la sua preferita) Il sogno di un hippie raduna e mette a disposizione la ricetta degli
spaghetti del papà (auguri), le contorsioni di un musicista che, dai Buffalo
Springfield a Daniel Lanois non si è fatto mancare niente, i ritratti (sempre
affettuosi) di compagne e compagni di viaggio, gli infiniti fotogrammi della
vita on the road, gli aneddoti e le polemiche. Memorabili, in questo senso, le
cinque pagine dedicate alla diatriba con la Geffen Records, parentesi
discografica in cui i soliti, solerti ed efficienti manager pretendevano di
sapere e di decidere chi o cosa fosse Neil Young. Lui rispose a modo suo,
incidendo e pubblicando album del tutto estemporanei, mutando pelle e costumi
senza preavviso. La battaglia, alimentata da “ego e incubi hollywoodiani”, andò
avanti per un bel po’ perché “loro volevano che avessi successo commerciale e
io volevo essere un artista che esprimeva se stesso: non sempre queste due
ambizioni sono compatibili”. La strategia di Neil Young, all’epoca
incomprensibile ai più, svela invece tutta la sua trama se ci si misura con Il
sogno di un hippie. E’ un segmento
elementare, una sequenza in cui diventa intelligibile il suo DNA: Neil Young ha
fatto del mimetismo un’arte sublime perché nascondendosi di volta in volta
dietro una maschera diversa è diventato ed è rimasto se stesso, che è poi Il
sogno di un hippie diventato
realtà (più o meno, perché con Neil Young non si è mai sicuri di niente).
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