Più che un saggio sul potere delle immagini, Davanti
al dolore degli altri
è un vademecum per vivere questi incredibili tempi moderni, in cui la realtà
sembra essere sospesa in un limbo tra rappresentazione, finzione e una
percezione distorta dall’information overload. Con estrema lucidità e
una background coltissimo e rigoroso, Susan Sontag cerca di descrivere, di
comprendere, di spiegare il senso di impotenza, di disperazione e di
incredulità che viviamo nel trovarci di fronte a immagini atroci e senza senso.
“Assistere da spettatori a calamità che avvengono in un altro paese è una
caratteristica ed essenziale esperienza moderna, risultato complessivo delle
opportunità che da oltre un secolo e mezzo ci offrono quei turisti di
professione altamente specializzati noti come giornalisti. La guerra è ormai
parte di ciò che vediamo e sentiamo in ogni casa” scrive Susan Sontag ed è
proprio la guerra il disastro peggiore perché è anche il più attraente. Davanti
al dolore degli altri
si costruisce una solidissima credibilità proprio scavalcando i luoghi comuni e
Susan Sontang ammette, senza paura di essere smentita, che “la guerra era, e
continua a essere, la più irresistibile, e pittoresca, delle notizie. (Insieme
a quei suoi preziosi sostituti che sono gli eventi sportivi internazionali)”.
Già quest’associazione, visto cosa succede negli stadi, fa riflettere non poco,
poi nel forbito e ricchissimo discorso di Susan Sontag appare un frammento di
Henry James, centellinato con cura perché “in letteratura nulla è dovuto al
caso o alla fortuna” che illumina la condizione di chi, davanti alla terribile
scena di un massacro di Sarajevo, New York, Falluja, Madrid, Londra, Aleppo
rimane ammutolito: “In mezzo a tutto questo, utilizzare le parole di cui
disponiamo è ormai difficile quanto far fronte ai nostri stessi pensieri. La
guerra ha logorato le parole; si sono indebolite, deteriorate”. Rimangono le
immagini che scorrono senza poterle fermare e sono sempre oggettive e cambiano
in continuazione prospettiva e ci fanno
sentire soli Davanti al dolore degli altri perché, come nota con
una sensibilità non indifferente Susan Sontag “a mancarci è l’immaginazione,
l’empatia: non siamo riusciti a fare nostra questa realtà”. Viene spontaneo
chiedersi a chi serve, a chi giova proiettare senza sosta la ricostruzione (che
poi, come ben analizza Susan Sontag, spesso confina nel falso e nel grottesco)
di immagini crudeli e spietate e se “esiste un antidoto contro l’eterna
seduzione esercitata dalla guerra”. Qualche suggerimento Susan Sontag ha ancora
il coraggio di darlo, a partire dalle precondizioni in cui matura questa
sensazione di aver sempre le spalle al muro, dato che “in una cultura
radicalmente riorganizzata dai valori del mercato, la pretesa che le immagini
siano stridenti, clamorose e rivelatrici appare più che altro un segno di
elementare realismo e di fiuto per gli affari”. Cambierà tutto, non cambierà la
guerra ed è per questo che Davanti al dolore degli altri dovrebbe essere
adottato da ogni scuola.
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