E’ naturale che la figura
poetica e letteraria di Allen Ginsberg sarà soggetto a ripetute interpretazioni
e riletture: la vastità della sua produzione nonché l’enorme quantità di
materiale archiviato che ancora deve trovare una sua dimensione (bastano i cenni
nella nota del curatore di Parigi Roma Tangeri, Gordon Ball, a rendersi conto della situazione) offrono stimoli
sufficienti a considerare l’opzione di una collana a lui interamente dedicata.
L’ordine rimane un’utopia e per infatti per arrivare alla forma più o meno
definitiva nella ricomposizione dei diari di Allen Ginsberg i curatori sono
dovuti ricorrere ad ardite forme di lettura e interpretazione. Di questa
elaborazione, Parigi Roma Tangeri è
parte significativa anche se rappresenta soltanto un terzo dei suoi Journals tra il 1954 e il 1958 e in particolare la parte
finale. E’ di sicuro un tassello importante nel ricostruire gli archivi di
Allen Ginsberg non solo perché contiene appunti e frammenti di opere destinate
a diventare famose (su tutte, Kaddish). E’ anche l’espressione più genuina e grezza del suo work in progress
tra il marzo 1957 e il luglio 1958 nel quale è convinto di appartenere a
qualcosa di importante. “Non ho
mai smesso di pensare che eravamo coinvolti come comunità in un cambiamento
storico della coscienza e in una specie di rivoluzione culturale” scriverà più
di venticinque anni dopo e nel variegato panorama di possibilità di Parigi
Roma Tangeri si sente l’urgenza di lasciare
una traccia, di sfruttare la scrittura per fissare un tempo, un’idea, se non
altro un paesaggio o un’emozione o una sensazione, almeno quella che è chiamata
“la spensieratezza di lavorare a una poesia”. La necessità di dare forma
immediata a una creatività impellente è spiegata ancora dallo stesso Allen
Ginsberg, sollecito ad annotare tutto “perché, per certi versi, mi sembrava
veramente che si trattasse di scegliere tra un passo ulteriore verso la
liberazione e uno stato di polizia autoritario, alla 1984; tra uno stato di polizia strisciante e uno
strisciante socialismo libertario”. Quanto illuminante fosse quella percezione
possiamo dirlo con più convinzioni e con più motivazioni oggi, rileggendo Parigi
Roma Tangeri. Resta il fatto che Allen
Ginsberg è rimasto fedele ai suoi propositi anche mentre riempiva i giorni dei
suoi diari: “Io volevo poesia realistica, fondata sulle emozioni ideali comuni
dei cittadini di una democrazia, volevo fare profezia bardica e contribuire a
terminare la guerra” scriveva nell’introduzione a Papà respiro addio e quella volontà corrisponde senza alcun margine di
errore anche ai traslochi tra Parigi Roma Tangeri, città che non saranno mai abbastanza grandi per
contenere idee & poesie. Sembra accorgersene lo stesso Allen Ginsberg:
“Tutti noi accalappiati dal mondo, mentre cerchiamo di arraffare amore cibo
gloria e poesia, la fredda poesia d’amore della gloria. E il mondo così
piccolo, il trapasso così rapido, la pioggia grigia, la ruga intorno all’occhio
della tomba”. Irraggiungibile.
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