"La tecnica del gatto oltre il muro”, un
dettaglio del racconto da cui prende il titolo questa brillante raccolta,
potrebbe essere benissimo la metafora del metodo che anima le prime e inedite
short stories di Kurt Vonnegut. E’ l’imprevedibile e l’imponderabile, proprio
quello che succede al felino sparato in aria (e a chi sta nella zona di
atterraggio dall’altra parte), che determina i temi, le trame, i terremoti
nelle vite dei personaggi di Guarda l’uccellino. In funzione di quella
singolare variazione che spesso è un rebus e insieme la sua soluzione, Kurt
Vonnegut mischia soluzioni, idee e stili, senza soluzione di continuità. E’ la
forza della storia in sé che deve sostenersi da sola e questa è l’unica
caratteristica comune a tutti i quattordici racconti di Guarda l’uccellino. Alcuni sono diamanti
grezzi come Gridalo dai tetti o Il re e la regina dell’universo: partono da presupposti
ingombranti che poi vengono tranciati da finali sorprendenti. In effetti
potrebbero già contenere interi romanzi, e viene il dubbio che sia quella la
loro origine. Altri sono perfetti, sia che giochino con il fantastico (come Il
tagliacarte,
un frammento che raduna tutto quello che può servire a confezionare un breve
racconto) sia che rimangano incollati alla realtà come Parola d’onore o il toccante Ciao Red. Gli estremi sono il
primo e l’ultimo dei racconti di Guarda l’uccellino. Confido ruota attorno a “una
scoperta più grande della televisione e della psicoanalisi messe insieme, che
di soldi ne fanno a palate” ed è è geniale, se non proprio profetico, nel
raccontare le deformazioni della vita dalla seconda metà del ventesimo secolo
in poi, con un piccolo artificio dell’immaginazione. Una buona spiegazione svela invece cosa
succede nei giardini segreti di un matrimonio, quando le parole che non sono
state pronunciate pesano più di quelle dette. Confido e Una buona
spiegazione
racchiudono una popolazione di personaggi legati a vite anonime che vengono
travolte da un mistero o da un segreto o dall’improvvisa apparizione di un’incognita.
E’ quello che succede anche all’impiegato orwelliano di Fubar (termine che significa
“a tal punto incasinato da essere irriconoscibile”). Relegato in un ufficio che
più marginale non si può, condizionato dall’assistenza alla madre anziana e
malata, il travet si sente “un padrone di casa alla festa più lunga e noiosa
che si possa immaginare” fino a quando non gli presenta la nuova segretaria,
una ragazza avvolta in “una scintillante costellazione di bigiotteria”. Tra i
due scatta qualcosa che rimane sospeso in “quella sensazione complessiva di
essere bloccati dalla nebbia che viene spesso scambiata per amore”, condizione
che è piuttosto diffusa tra i personaggi di Kurt Vonnegut. Resta da dire
proprio di Guarda l’uccellino un racconto di quattro-pagine-quattro che
sublima i contorni noir di molte di queste storie. E’ un Vonnegut d’annata:
pungente, incalzante più che mai, al lettore chiede pochissimo e lo lascia in
compagnia di una selva di punti di domanda, che poi è quello che dovrebbe fare
la letteratura.
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