Tra le voci più significative della cultura afroamericana, Gil Scott-Heron è un personaggio attratto dalle parole in tutte le loro forme possibili: canzoni (ha inciso una ventina di dischi), poesie e romanzi. La sua verve polemica, non senza contraddizioni e parecchie controversie esistenziali, è radicata fin negli anni settanta, quando fu uno dei primi animatori della protesta contro il nucleare, ma Gil Scott-Heron ha sempre continuato ad essere critico sia nei confronti dei luoghi comuni del sogno americano, sia verso il mondo afroamericano. La fabbrica dei negri è il romanzo che rappresenta al meglio la sua percezione culturale e storica: ambientanto in un campus universitario, vede lo scontro tra due generazioni di afroamericani. La prima, giunta alle massime autorità scolastiche grazie alle battaglie degli anni sessanta, si vede contrastare dalle rivendicazioni degli studenti più giovani. Con un ritmo serrato, quasi fosse una canzone dei Public Enemy (che a Gil Scott-Heron devono non poco), La fabbrica dei negri sviluppa tensioni e scontri con un linguaggio crudo, privo di metafore, diretto e provocatorio, fino al drammatico finale. Anche se come narratore Gil Scott-Heron qualche limite lo deve affrontare, molti passaggi dei dialoghi, che hanno una parte preponderante in La fabbrica dei negri, tracciano una linea polemica chiarissima. L’ossessione per l’istituzione universitaria e per estensione verso tutta un’idea di istruzione ed educazione è l’ispirazione principale ad alimentare voci che dicono: “Abbiamo gli stessi problemi di quarant'anni fa. Ma quando arriva il momento del confronto diretto gli studenti svaniscono. Sono tanto preoccupati per quel merdoso pezzo di carta che si rifiutano di mettere il naso fuori dalla tana. Chi se ne frega se hanno passato quattro anni infernali in cui hanno vissuto come maiali nel porcile?”, e la domanda non ha nulla di retorico, perché poi sono proprio i metodi, i mezzi e i modi con cui La fabbrica dei negri si deve confrontare. Su questo Gil Scott-Heron è altrettanto categorico visto che fa dire a uno dei suoi personaggi: “Quello che desideri non puoi ottenerlo solo perché sei più grosso dell’altro tizio o perché hai un servizio d’ordine alle spalle. Alcune cose dipendono solo dalla tua capacità di convincere la gente con le parole. Se meni qualcuno forse si dichiarerà d’accordo con te, ma cercherà sempre l’occasione per fartela pagare. E’ per questo che la gente che ottiene le cose con la forza non dorme mai sonni tranquilli”. Titolo altamente simbolico, La fabbrica dei negri è introdotto, dovesse servire scanso di equivoci, da una nota dello stesso Gil Scott-Heron che non lascia dubbi: “E’ ora di cambiare. Ormai il popolo nero ha capito che il sogno americano è una presa in giro, e la gente non ne vuole più sapere di non avere il necessario per vivere anche dopo anni di studi-burla concepiti come preparazione all’ingresso in società”. Ancora attualissimo e adattabile anche a situazioni non solo e strettamente afroamericane.
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