Stephen King sorprende sempre quando affronta temi con riconducibili nell’immediato a un genere ben definito, magari l’ambito horror per cui è conosciuto ai più. Forse perché, come scriveva in un passaggio fondamentale per Il corpo e di conseguenza per Stagioni diverse, “le cose più importanti sono le più difficili da dire. Sono quelle di cui ci si vergogna, poiché le parole le immiseriscono, le parole rimpiccioliscono cose che finché erano nella vostra testa sembravano sconfinate, e le riducono a non più che a grandezza naturale quando vengono portate fuori. Ma è più che questo, vero? Le cose più importanti giacciono troppo vicine al punto dov’è sepolto il vostro cuore segreto, come segnali lasciati per ritrovare un tesoro che i vostri nemici sarebbero felicissimi di portare via. E potreste fare rivelazioni che vi costano per poi scoprire che la gente vi guarda strano, senza capire affatto quello che avete detto, senza capire perché vi sembrava tanto importante da piangere quasi mentre lo dicevate. Questa è la cosa peggiore, secondo me. Quando il segreto rimane chiuso dentro non per mancanza di uno che lo racconti ma per mancanza di un orecchio che sappia ascoltare”. E’ una distinzione nitida perché l’ascolto ha una funzione privilegiata nei racconti di Stagioni diverse, proprio a partire da Il corpo, forse meglio noto nella versione cinematografica di Stand By Me, dove le canzoni riescono a dare un senso a quell’ultima estate, all’età, al momento storico, a quella sensazione per cui, parola di Stephen King, “il tempo slittava”. E’ una magia sfuggente perché da una parte ha un tocco e un tatto particolari nel raccontare l’infanzia e soprattutto la sua evoluzione, prevalente nei racconti di Stagioni diverse e dall’altra ha una leggerezza e una fragranza pop e popolare, proprio perché composte da quelle sostanze: il fumetto, il cinema, il rock’n’roll, il baseball. L’uso dei cliché pop e popolari di Stephen King è sempre un modello di riferimento e in Stagioni diverse in particolare, sembrano marcare il territorio e il tempo in cui si muovono i personaggi con una precisione millimetrica. Basta pensare ai manifesti che cambiano nella cella di Andy Dufresne in Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, a sua volta diventato Le ali della libertà. Sulle notevoli fortune cinematografiche dei racconti di Stagioni diverse serve una riflessione supplementareforse perché sono racconti nati a occhi chiusi, come raccontava Stephen King, con un’incredibile predisposizione per le immagini, per la costruzione delle scene che rimangono impresse in modo indelebile e persino con l’inserto di una storia dentro la storia, come succede in Il corpo. Se hanno funzionato è perché, Stephen King l’ha detto con chiarezza, “se esiste un’andatura nella scrittura, e se la gente mi legge perché trova una storia con una certa andatura, è perché sente che voglio arrivare dove sto arrivando”. La metà è sempre laggiù, dove c’è qualcosa di importante: solo “una frattura in uno specchio”, che è una bella immagine per capire come sentire una storia.
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