Raccontava Bruce Springsteen in Songs: “Proprio prima di registrare Nebraska, lessi Flannery O’Connor. Le sue storie mi facevano pensare all’inconoscibilità di Dio e suggerivano una spiritualità tenebrosa che, a quel tempo, trovava risonanza con i miei stessi sentimenti”. Non si tratta soltanto di Nebraska o di La saggezza nel sangue, romanzo che è un momento centrale della narrativa di Flannery O’Connor: Bruce Springsteen ha saccheggiato in lungo e in largo ispirazione, storie, frammenti, a partire da The River, che era il titolo di un racconto pubblicato per la prima volta nel 1953 (e questa potrebbe essere una coincidenza, ma visto il tenore generale di quel capolavoro, è difficile anche solo pensarlo), a A Good Man Is Hard To Find altro racconto del 1953 che è diventato Pittsburgh (A Good Man Is Hard To Find) e dato che Tracks l’abbiamo tutti, si sa di cosa stiamo parlando). Se Bruce Springsteen è oggi il suo lettore più famoso, lo si deve anche al fatto che Flannery O’Connor è diventata, nonostante la breve e malatissima vita (se ne è andata che aveva solo trentanove anni) e la relativamente scarsa bibliografia, un punto di riferimento nella narrativa americana, e tanto dovrebbe bastare. Forse è proprio per come ha saputo rendere quei contrasti tra santi e peccatori, fede e disperazione che vivono i personaggi in balia degli eventi e della strada (“Ci tengo ad avanzare ottimi argomenti in favore della devianza, perché mi vado convincendo che è l’unico modo per aprire gli occhi alla gente” diceva a proposito Flannery O’Connor). Hazel Motes, il protagonista di La saggezza nel sangue, può essere eletto a principale interprete di quell’umanità sempre in lotta con se stessa e con il mondo intero. Definito dalla stessa Flannery O’Connor “un romanzo comico che tratta di un cristiano suo malgrado”, La saggezza nel sangue è ancora oggi attualissimo, non soltanto per la rappresentazione dei conflitti tra il dubbio e la speranza. E’ quell’insistente voglia di mistero, di ombre, di profondità, a fronte della quotidiana overdose di banalità, che lo rendono un caposaldo destinato a durare per sempre. Il punto è questo e Flannery O’Connor lo ricordava, ristabilendo uno dei principi fondamentali che dovrebbe stare alla base di ogni narrazione, di ogni storia: “Credo che uno scrittore serio descriva l’azione solo per svelare un mistero. Naturalmente, può essere che lo riveli a se stesso, oltre che al suo pubblico. E può anche essere che non riesca a rivelarlo nemmeno a se stesso, ma credo che non possa fare a meno di sentirne la presenza”. La saggezza nel sangue è la migliore espressione di una scrittura intesa come percezione e rivelazione e molto dipende dall’arte di leggere a cui Flannery O’Connor si applicava con tanto entusiasmo e il consueto disincanto. La sua autobiografia di lettrice è esemplare anche per lo stile, sempre diretto al punto: “Le mie letture sono raffazzonate. Ho quella che al giorno d’oggi viene spacciata per cultura, ma non m’illudo”. Ci associamo.
La lettura de "Nel territorio del diavolo" dovrebbe essere obbligatoria per chiunque abbia intenzione di scrivere.
RispondiEliminaConcordo, senza dubbio.
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