Raymond Carver le aveva definite le sue narrazioni “più durature” e come se fossero tante gemme sparse di un’eredità preziosa si era premurato di raccoglierle in una voluminosa e rappresentativa antologia. La sua natura era frutto anche di un’inedita sicurezza che Raymond Carver descrisse così: “Ora voglio organizzarmi meglio, e vedo chiaramente la mia strada. So che continuerò a scrivere. Mi fa sentire bene, mi dà un senso di sicurezza l’idea di sapere più o meno cosa farò nei prossimi anni”. Di tempo gliene restava davvero molto poco e Da dove sto chiamando è rimasto, infine, il suo testamento. “Se siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l’ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio. Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena scritto o letto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti a dove erano prima”: forse è tutta qui l'essenza della lettura e della letteratura, due strane variabili dell’esistenza che davanti a ogni libro di Raymond Carver diventano, quasi per incanto o magia, chiare ed intelleggibili. Succede, più che in ogni altra occasione, con Da dove sto chiamando. Per chi non lo conosce o ha letto poco di lui, Da dove sto chiamando è lo strumento ideale: tutte le short stories qui comprese coprono l’intera produzione e molte sono presentate nelle versioni originali, ovvero nella primissima stesura. Per questo Da dove sto chiamando è da considerare il libro più personale dello scrittore americano: non ha la perfezione formale di altre raccolte (basta pensare a Cattedrale, per esempio), non ha la lacerante bellezza delle poesie (da Blu oltremare a Il nuovo sentiero per la cascata) ed è forse eccessivamente prolisso con le sue oltre cinquecento pagine, ma contiene davvero tutto il dolente universo di Raymond Carver. E’ anche il compendio migliore della sua scrittura (e delle sue letture) perché racconta un narratore per cui la vita (“Sempre la vita”) e la letteratura sono state legate da un filo appena appena visibile, che lui ha seguito con scrupolo e maniacale attenzione. Come scrive in un toccante passaggio dell'introduzione a Da dove sto chiamando: “Ho cercato di imparare il mestiere di scrivere e di essere sottile come la corrente di un fiume quando pochissimo altro nella mia vita era altrettanto sottile”. Valga anche per tutti quegli intellettualoidi che, completamente a digiuno di vita reale e forse anche della biografia di Raymond Carver, a cicli più o meno regolari cercano di sminuirne l’importanza o di falsarne la lettura trascinando il suo nome in polemiche sterili e pretestuose (non ultima proprio quella legata alla forma dei suoi racconti). Noi, invece, custodiamo con cura Da dove sto chiamando e rileggiamo una short story ogni tanto, distillandole nel tempo: da dove chiama Raymond Carver è un luogo a un passo dalla vita, quella vera, e tutta intera, in un colpo solo, è un'esperienza difficile da digerire.
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