Capace di interpretare la realtà con una lucidità che ha pochi termini di paragone, Norman Mailer è stato uno dei protagonisti della controcultura americana, anche una volta svaniti gli effetti di massa e di movimento più radicali e intransigenti. Pur risalendo al 1975, quando ormai la disillusione era più di un’idea, Il combattimento è uno dei suoi libri migliori, dove racconta lo storico incontro tra Cassius Clay già diventato Muhammad Ali e George Foreman voluto da Mobutu per celebrare la nuova era dello Zaire. Il combattimento convoglia tensioni, frustrazioni e contraddizioni di mezzo mondo e Norman Mailer riesce a tenerle sempre ben presenti, anche se il suo punto di vista è diretto in modo costante ai protagonisti, ai quali dedica frasi degne del clamore e delle aspettative che l’evento impose. La figura di Cassius Clay è al centro della sua attenzione (“Un uomo non dovrebbe offrire le proprie membra alla magia come non dovrebbe incoraggiare la propria anima a scivolare nelle brume. Quando ogni parola viene riverberata fino alla fine della terra, una parola debole può rimandare indietro un eco per punire l'uomo che ha parlato; un’azione debole può assicurare la sconfitta. Perciò un uomo non deve giocare con la propria dignità a meno che non sia esperto nelle arti della metamorfosi”), ma è l’analisi precisa, spietata di Norman Mailer a cogliere il senso della “fabbrica di assurdo” in cui è germogliato Il combattimento in sé. Prima di tutto, far scontrare due afroamericani nei giorni dell’indipendenza africana sembra voler ricordare primitive faide tribali e anticipare successive guerre civili con contorno di genocidi. La stessa location del combattimento del secolo è la plastica evidenza di una visione tutt’altro che figlia della speranza, aspetto che non è sfuggito a Norman Mailer: “In effetti non era uno stadio allegro. L’intelligente informatore americano aveva ragione. L’ingresso era estremamente deprimente. Lo stadio non era un posto fatto perché la gente potesse affluirvi liberamente, ma piuttosto un edificio da cui sarebbe stato impossibile uscire se la polizia avesse voluto trattenervi. Il passaggio delle persone era reso così poco scorrevole da far pensare a un barilotto di birra con una tettarella per rubinetto. Dalla strada, arcate non più ampie di comuni porte conducevano a cancelletti girevoli, che a loro volta vi permettevano di passare per stretti corridoi fino alle gradinate dello stadio. Un passaggio sotterraneo che correva tutt’intorno allo stadio conduceva a stanze di mattoni di cemento dipinte interamente in grigio. Sbarre d’acciaio e un isolato color cenere. Una prigione”. Forse è anche peggio perché si tratta della rappresentazione di una prigione in anni in cui gli stadi diventavano campi di concentramento e non è proprio l’ideale in un giorno in cui si celebrava la libertà e l’indipendenza. Solo che “in America tutti stavano già gridando che il combattimento era truccato. Era vero. Truccato come La ronda di notte e Ritratto dell’artista da giovane”. Non era semplice da intuire, allora; adesso, è persino profetico.
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