La
short story è un mondo ormai raro e trovare narratori in grado di
muoversi a loro agio in spazi poco più grandi di una canzone è
ancora più difficile. La tradizione americana recente, tra cui
George Saunders, Tobias Wolff, T. C. Boyle, vanta anche Orso
e sua figlia di
Robert Stone. Scrittore che ha frequentato la coda dell'onda lunga
della Beat Generation, scegliendo poi formule espressive più
complesse e adatte ai tempi (il capolavoro di Porta
di Damasco),
Robert Stone ha ben chiaro il senso della narrativa sia dalla parte
di scrive (“Ho sempre pensato che uno dei vantaggi della fiction (a
prescindere dalle sue funzioni più importanti) sia la possibilità
di evasione”) sia da quella di chi legge (“Ogni essere possiede
una vena di percezione profonda. Il problema è portarla in
superficie”): due estremi che si traducono in visioni liriche e
durissime, a tratti così spietate e drammatiche da lasciare a
disagio il lettore. Anche se i sette racconti di Orso
e sua figlia sono
eterogenei per ambientazione, hanno in comune la varia umanità di
perdenti che li popola. Si va dallo stesso stesso Messico di Malcom
Lowry in Porque
No Tiene, Porque le Falta alle
periferie suburbane di Miserere, Senza
pietà e Aiuto (un
racconto che con un paio di tagli appropriati potrebbe essere
scambiato per Raymond Carver), dalla wilderness di Orso
e sua figlia ai
Caraibi di Sotto
i Pitons:
cambiano i contorni, non l’idea cara a Robert Stone di
rappresentare le “miserie umane” che contengono. Gente che guida
barche a vela tra scogli e correnti strafatta di cocaina; guardie
forestali armate di revolver e imbottite di metedrina; assistenti
sociali alcolizzati che si svegliano alla mattina col dito sul
grilletto di un Remington calibro dodici e non sanno perché; party
girls & broken poets,
come direbbe Elliott Murphy che credono di essere in guerra perché,
come dice uno di loro “ci sono momenti in cui penso che non sarò
abbastanza morto, o morto da abbastanza tempo, per togliermi dalla
bocca il gusto di questa vita”. Orso
e sua figlia è
però anche l’occasione di parlare ancora di Porta
di Damasco,
un magnifico libro che sull'endemico conflitto tra arabi e israeliani
spiega più di tutta la CNN e i giornali di questo mondo messi
insieme. Certo, non è una short story, ma tra CIA, fanatici di tutte
le religioni, discussioni filosofiche, complotti, agenti segreti nei
cunicoli di Gerusalemme, Porta
di Damasco,
rappresenta al meglio la percezione di Robert Stone, che così
scrive: “Forse era lì che il mondo si divideva tra la razza di
coloro in qualche modo responsabili e quella dei non responsabili.
Era una divisione che, personalmente, gli riusciva difficile
tracciare. Ma attorno a essa ruotava un perduto universo di vergogna.
Ognuno era destinato a scrutare per sempre in quell'oscurità quanto
più profondamente avrebbe potuto o osato. Tutti volevano una
risposta, una guida per gli sconcertati. Tutti volevano che morte e
sofferenza avessero un senso”. Vale anche per Orso
e sua figlia.
Nessun commento:
Posta un commento