Da un carcere all'altro, Edward Bunker, già noto con e con , si racconta. Lo fa con il tono crudo e spigliato che caratterizza il suo modo di scrivere. Raccontato in prima persona, Educazione di una canaglia ci porta dalle cupe atmosfere dei luoghi di carcerazione (scuole militari, riformatori, carceri e penitenziari veri e propri) ai luoghi del benessere di una Los Angeles sempre in bilico tra l’estrema opulenza (fu salvato, in più riprese dall'angelo di Hollywood, la “signora Wallis”, moglie di “un pezzo grosso del cinema”) e la delinquenza totale dei suoi bassifondi. Naturalmente, per un’innata attitudine (ammessa con il consueto candore: “Io non avevo nessuna idea di ciò che volevo, tranne che sentivo in me la rabbia di attraversare le esperienze della vita e un desiderio altrettanto potente e urgente di conoscenza), le maggiori frequentazioni di Ed Bunker sono di questi ultimi, nonostante gli sforzi del ricchissimo angelo. Educazione di una canaglia è più di una autobiografia e va oltre al romanzo: pur essendo sostenuto dalla storia della vita di un galeotto, ovviamente in un'atmosfera noir, potrebbe essere un saggio, sul genere che avrebbe potuto interessare Cesare Beccaria; infatti è il percorso di un uomo che ha passato metà della vita in carcere, per lo più da minore, al punto che si confondono i reati con le pene, le cause con gli effetti. Attenzione: Bunker non fa delle questioni sociologiche o psicologiche; semplicemente ci racconta un mondo che ha vissuto e, implicitamente, studiato, e che, sempre attraverso le lenti di una particolare sensibilità, ha cercato di tradurre nella sua scrittura. I suoi inizi, documentati proprio da Educazione di una canaglia sono empirici: “Per scrivere un libro bisognava essere un mago, o uno stregone, o un alchimista, per impadronirsi di un’esperienza, reale o immaginaria, e servirsi delle parole per ricrearla sulla pagina scritta”. Qualche cella più in là, un altro detenuto pesta i tasti della macchina da scrivere tutta la notte: è Caryl Chessman. Edward Bunker aveva capito già da lettore che “un libro era un libro, un varco possibile verso luoghi lontani e meravigliose avventure” e ascoltando il lavoro di uno scrittore che vive nelle sue stesse condizioni ha l’epifania decisiva. Dedicherà alla scrittura tutto il tempo che gli resterà davanti, raccontando la sua “educazione”, le sue prigioni e, insieme, tutto un mondo di emarginazione, di violenza, di paura, di sotterfugi, di dolore. Senza particolari mediazioni, se non quelle dell’esperienza. Alla tenera età di 65 anni, “pacificato ” come recitano le note di copertina, cercava ci comprendere dove l’aveva portato un’Educazione di una canaglia: “Avrei potuto giocare meglio le mie carte, senza dubbio, e ci sono cose di cui mi vergogno, ma quando mi guardo allo specchio, sono fiero di quello che sono. I tratti del mio carattere che mi hanno fatto combattere il mondo sono gli stessi che mi hanno permesso di farmi valere”. Un vero outsider, un perfetto fuorilegge, un grande scrittore.
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