Scriveva
Gary Snyder, uno dei maggiori responsabili dell’introduzione
mistica di Jack Kerouac, che la poesia può essere “l’abile e
ispirato impiego della voce e del linguaggio per incarnare rari e
possenti stati della mente che quanto all'origine immediata sono
peculiari a chi canta, ma a livelli più profondi sono comuni a tutti
quelli che ascoltano”. Non c'è dubbio che la poesia sia stata per
Jack Kerouac uno strumento privilegiato, una voce segreta per
comunicare quanto di più intimo ancora riusciva a salvare dalle
alluvioni di parole della sua prosa. E' successo lo stesso per la sua
conversione buddhista che lo vede protagonista in questo La
scrittura dell’eternità dorata.
Non è l'unico volume che recupera quest’angolo della biografia di
Jack Kerouac per certi versi ancora indefinito, ma è il più agile e
il più a portata di mano. Nella sostanza, è un lungo poema
meditativo dedicato alla consapevolezza (un termine caro ad Allen
Ginsberg, tra l'altro) della fragilità del mondo e, tra le righe,
alla ricerca di un equilibrio superiore che, come giustamente
scriveva Eric Mottram nell’introduzione a La
scrittura dell’eternità dorata “in
questo secolo, forse più che in ogni altro raggiungere la pace
interiore nella gioia attiva ha significato chiamarsi fuori dalle
strutture di potere del proprio tempo”. Non so quanto conti la
traduzione, ma forse al posto della parola strutture, andavano molto
meglio relazioni o situazioni (come insegnava Michel Foucault) che
rendono di più il concetto e che sono più vicine a quanto esprime
Jack Kerouac in modo piuttosto risoluto: “Quando hai compreso
questa scrittura, gettala via. Se non riesci a comprendere questa
scrittura, gettala via. Insisto che tu debba essere libero”. La
libertà non è relativa soltanto all’architettura sociale o a
quello che veniva chiamato, per riduzione e per semplificazione,
sistema o establishment, ma è qualcosa di strettamente interiore,
legato ai rapporti con se stessi, con gli altri e con il mondo. O
meglio, alla consapevolezza che non esiste alcun rapporto: “Questo
mondo è pellicola di ciò che tutto è, l'unico film, della stessa
sostanza da cima a fondo, non appartiene a nessuno, ciò che è
quanto tutto è”, scrive Jack Kerouac in La
scrittura dell’eternità dorata e
probabilmente non c'è niente di altrettanto vero, reale, tangibile.
Per lui, cattolico e vagamente inconcludente sul piano religioso, il
buddhismo non è altro se non una meta di una propria ricerca umana
che l’ha portato sulle strade di tutta l'America e in giro per il
mondo a vaneggiare talmente felice che migliaia e migliaia di giovani
lo scoprono ancora oggi a più di quarant’anni dalla scomparsa. E
non è un mistero che La
scrittura dell’eternità dorata sia
un piccolo gioiello di quest’esperienza e una sorta di utile
manuale per capire il senso (o meno) della vita perché, come fa
notare Jack Kerouac, “Einstein calcolò che il presente universo è
una bolla in espansione, e sapete che cosa significa”. La
matematica non sbaglia, solo la scrittura (dorata) può capirlo.
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