Oltre a essere uno splendido romanzo, Preston Falls è soprattutto una storia che racconta quanto contano e pesano la musica pop e il rock'n'roll nelle nostre vite. Una colonna sonora costante che arriva dall'autoradio, dai nastri e dai dischi, dagli spot televisivi, dalle sonorizzazioni dei supermercati e degli aeroporti. Anche dalla passione coltivata come se fosse un rifugio estremo e inattaccabile dalle intemperie della realtà. Si sa come funziona l’infinito sogno di diventare una rock’n’roll star, anche quando capita a tempo ormai scaduto, come succede a Dougie Willis, il protagonista maschile di Preston Falls, che, su tutto, adora suonare la chitarra. Ne ha quattro, tutta roba di qualità rigorosamente vintage: Fender, Gibson, Martin, Rickembacker. Di professione è, o dovrebbe essere, un dirigente delle relazioni pubbliche, ma non manca mai di suonare la sua Telecaster sopra Talk Is Cheap, il primo album solista di Keith Richards. La moglie, Jean Karnes, la chitarra non riesce più a suonarla (con due figli, è un po' difficile), ma in gioventù sapeva a memoria tutte le canzoni di Blue di Joni Mitchell. Lei e lui si sono incontrati ad un concerto di Bob Dylan nel periodo della conversione cristiana (sono usciti prima della fine) tra Slow Train Coming e Saved. I tempi, come direbbe lo stesso Bob Dylan, cambiano e Preston Falls racconta, con intensità e amarezza, una famiglia che si sta separando. A Dougie Willis, poco portato al dialogo e più incline a sogni del tutto inconcludenti, resta soltanto un’improbabile rock’n’roll band (con un nome futile, Air Bag). A cui un’immane quantità di tempi e pensieri. Forse un po’ troppi, perché come dice la consorte (che non ha meno problemi di lui) “Willis ha sempre quattro o cinque ragioni per fare qualcosa”, e spesso non sono proprio le più giuste. Basta l'ultimo week-end delle vacanze, a Preston Falls (appena fuori New York) perché il suo matrimonio, la famiglia e una mezza dozzina di vite comincino a disintegrarsi in un acido pulviscolo di rimpianti. Senza lieto fine, ma questo tocca al lettore scoprirlo. A trascinarlo fino in fondo ci pensa David Gates con una scrittura a ritmo serrato, dialoghi brucianti, un sovrapporsi di personalità, punti di vista, personaggi che non lasciano scampo. La bancarotta esistenziale e le nevrosi di Dougie Willis e consorte, due esponenti della middle class suburbana, ricorda da vicino quella di Frank Bascombe e della di lui X (la chiamava così) in Sportswriter, con cui Preston Falls ha più di un punto in comune. Però a David Gates mancano i toni consolatori e quel senso di pietà per il genere umano che è proprio di Richard Ford. Tagliente, durissimo, senza alcuna concessione, a volte persino malinconico nel raccontare il crepuscolo di un matrimonio (ma anche di un intero modo di vivere, con ogni probabilità) Preston Falls vibra di rock’n’roll dall'inizio alla fine, un po’ per i trascorsi di David Gates e un po' per la passione di Dougie Willis (che ha qualcosa in comune con Steve Earle). Memorabile la sequenza delle prove degli Air Bag, dove il buon Willis si trova con una combriccola di spaesatissimi fuori di testa. Tentano l'attacco di Walk This Way (ma gli Aerosmith non sono una rock’n’roll band facile da imitare), il batterista chiede disperatamente di suonare qualcosa degli Stones, le chitarre sono sempre scordate, cocaina e marijuana scendono a valanga. Il gruppo non è che funzioni benissimo, ma “comunque è bello farsi di cocaina e suonare il rock’n’roll, o anche solo farsi e restare là con le chitarre e il resto”. Gli va un po' meglio quando decide di suonare sopra i dischi, ma è davvero una soddisfazione minimale e relativa quando tutto intorno il mondo sembra venire giù con le foglie dell'autunno. A Preston Falls, dove Willis si è venduto anche le tegole del tetto, non rimane molto da fare e infine anche il “tempo di rock'n'roll” come lo chiama David Gates svanisce. Una fantasiosa vita parallela può essere una valvola di sfogo e, come sappiamo, un’utilissima e fondamentale componente in cerca di un equilibrio esistenziale, ma non è mai autosufficiente, nemmeno con il miglior rock’n’roll. Per Dougie Willis l’unica e ultima alternativa rimane la fuga, mentre a Jean Karnes restano i figli. Per tutti (e due) un’infinita amarezza, che nessuna canzone, nessuna ballata può curare.
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