“Ad un certo punto, verso la fine del 1986, ho cominciato a immaginare questo gruppo di sbandati. La mia idea, nella sua forma più semplice, era scrivere di chi torna a casa dopo il college senza avere la minima idea di cosa vuole fare. E' chiaro che tutto questo aveva anche molto a che vedere con il posto dove abitavo allora: Hoboken, nel New Jersey (...) Insomma, l'idea era questa, creare una versione stramba e leggermente surreale delal Repubblica Popolare di Hoboken": così Rick Moody raccontava a David Ryan la genesi di Cercasi batterista, chiamare Alice, il suo romanzo di esordio. Ed è la musica, che giustamente il titolo italiano rimette in primo piano, a dare il tempo e a disegnare gran parte del cupo paesaggio. I Feelies di Crazy Rhythms (soprattutto), gli Yo La Tengo, i Silos sono le fonti di ispirazione di un giovane e ancora piuttosto disorientato Rick Moody, oggi narratore riconosciuto ma allora outsider come tanti suoi coetanei del New Jersey. Un luogo per cui Bruce Springsteen ha fatto di tutto nel tentativo di elevarlo dal grigiore e dalla decadenza provinciale e che invece Rick Moody, in quello che è il suo esordio, racconta con una disillusione che si spiega in immagini livide, in un ritmo indolente perfetto per spiegare quel'atmosfera per cui “Ovunque fossi ti sembrava che le cose andassero meglio altrove. Ovunque fossi sentivi questa fame di un po' di semplice conversazione”. Difficile in un territorio dove la linea d'ombra dell'adolescenza ha tre quarti su quattro di possibilità di essere varcata nel mondo sbagliato. Da Alice in giù, tutti i personaggi di Garden State cercano di salvarsi aggrappandosi gli uni agli altri (quando riescono) oppure proprio alla musica che è sempre dura, metallica, aspra, sghemba e disperata o, come scrive lo stesso Rick Moody, “Forse era solo il suono della vita vera, della gente di provincia che entrava e usciva dalle situazioni più umane e banali”. Qui non bastano i famosi tre accordi e una verità: i gruppi stanno insieme per fuggire il vuoto della periferia che ad ogni istante prova in un modo o nell'altro ad inghiottirli. Rimangono pochi margini di elevazione, anche se Rick Moody non nasconde un minimo indispensabile di dignità, come racconta in uno dei passaggi fondamentali per comprendere il senso di Cercasi batterista, chiamare Alice: “Nessuno era diventato quello che si aspettava di diventare, ma nessuno si era ridotto neanche troppo male, se in quel decennio essere persone a posto significava avere un minimo di sincerità e non desiderare la roba né il posto degli altri”. Anche per questo, Cercasi batterista, chiamare Alice è un romanzo crudo, più che acerbo, e se si vuole andare in profondità al tema, è più che utile rileggere La terra desolata dei teenagers, un reportage di Donna Gaines che, scandagliando un territorio contiguo al New Jersey di Rick Moody, ha scoperto il lancinante dolore di chi non riesce trovare un posto ai sogni, ai desideri e alle speranze.
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