Un primo quarto d'ora di successo Kinky Friedman l'ha avuto nel 1973: all'epoca scriveva canzoni, non romanzi, e il suo debutto su vinile, Sold American, lasciò un bel po' di gente a bocca aperta. Parole irriverenti, sarcasmo diffuso a piene mani, ballate country & western riempite di battute sagaci come un film dei fratelli Marx, persino un'apparizione con la Rolling Thunder Revue di Bob Dylan e poi Kinky Friedman ha lasciato il campo e si è messo dietro la macchina da scrivere. Gli ingredienti non sono cambiati: ebreo e texano, Kinky Friedman miscela con un'abilità notevole il ritmo del rock'n'roll con tutte le contraddizioni dell'american dream, gioca a scardinarne i luoghi comuni con un linguaggio pieno di metafore, paradossi, iperboli. Molto ironico e, nella sua eccentricità, anche parecchio realistico, Elvis, Gesù e Coca-Cola lo rappresenta in modo brillante e coinvolgente: ci sono due o tre delitti apparentemente incomprensibili, c'è una polizia che non sa cosa fare oltre a contare i cadaveri, c'è New York che sembra vivere di vita propria e c'è Kinky Friedman nell'epicentro di questo terremoto che prova a fare l'investigatore e il capo degli Irregolari del Village, uno staff di collaboratori tutto da scoprire. Kinky Friedman gioca pesante con il tema del doppio e più di un indizio in Elvis, Gesù e Coca-Cola riporta ai film di Alfred Hitchcock, che schiaccia l'occhio in un angolo, ma il thriller sembra solo una scusa per tenere alta la tensione e per dare un senso a quelle incursioni linguistiche che sono la sua vera specialità. A parte il titolo (su cui andrebbe speso un saggio), in "Elvis, Gesù e Coca-Cola" ci sono definizioni da antologia (Michael Jackson, che nell'insieme non c'entra nemmeno un granché, viene citato come "un alieno spaziale androgino da dodici miliardi di dollari"), idee che hanno uno metodo nella loro follia ("Se tutti bevessero abbastanza sambuca probabilmente si risolverebbero tutti i maggiori problemi del mondo. Conflitti religiosi e violenza etnica senz'altro scomparirebbero. I confini nazionali si disintegrerebbero e il mondo finalmente realizzerebbe il sogno di John Lennon nella canzone Imagine"), citazioni disparate e curiose (da Emily Dickinson a Michael Bloomfield) e, più in generale, un modo di raccontare e di usare le parole che rendono Kinky Friedman, oggi, più vicino e dentro al rock'n'roll di quanto non lo fosse più di vent'anni fa.
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