domenica 13 giugno 2010

Hubert Selby Jr.

Scritto in sei lunghi anni, sbattendo parole sui tasti "ogni cazzo di notte", Ultima fermata a Brooklyn è un romanzo che si è tramandato nel tempo, dalla scoperta entusiasta di Allen Ginsberg (era il 1964, la prima volta) e William Burroughs attraverso Lou Reed fino alla rilettura di Henry Rollins, diventando uno dei classici oscuri e fondamentali della letteratura americana. L'Ultima fermata a Brooklyn è il capolinea dove si addensano, una sull'altra, esistenze disperate, vite fottute, speranze rovinosamente fallite, notti che sono soltanto fondi di bottiglia. Hubert Selby Jr. ci arriva con il suo bel carico di rimpianti e di dolori: prima marinaio, poi steso in un letto per dieci anni, proprio sotto i lampioni sente la necessità di mettere tutto nero su bianco, di non perdere un'occasione importante per dare un senso alla sua vita. L'unica, in fondo: "Ho conosciuto per tutta la vita  la gente di cui parlo nel mio libro, e per un certo periodo, fino ai ventun anni, ho vissuto anch'io quell'esistenza. Non guardavo quella gente. Ci stavo in mezzo. Solo molti anni dopo capii che era questo l'argomento di cui dovevo scrivere. Qualcuno doveva ben descrivere tutto quell'orrore". Travestiti, ladruncoli, operai, marinai, Tralala, Goldie e Georgette, disperati di ogni forma e natura: Ultima fermata a Brooklyn è la bibbia dei bassifondi, il vademecum fondamentale per comprendere l'inferno metropolitano, l'angoscia dell'America, proprio a partire dal linguaggio caustico, dalla punteggiatura violentata, dalle frasi tagliate dai neon. Volutamente intenso, forzato, duro: "Credo che rispecchiamo la nostra più profonda identità nel vocabolario che usiamo, e nel modo in cui impieghiamo quel vocabolario, il ritmo del discorso, l'accostamento fra le parole, fra le sillabe". Parecchi anni dopo, diciamo una ventina, Hubert Selby Jr. sarebbe tornato ad riesplorare il microcosmo di Ultima fermata a Brooklyn con il Canto della neve silenziosa. Una piccola luce, forse, una volta sopiti i fantasmi del passato, delle censure, dell'indifferenza dei letterati caldamente ricambiata da Hubert Selby Jr.. A lui interessava molto di più qualcuno in grado di capire, apprezzare e vivere i suoi romanzi. Chi li legge: "Voglio sottoporre il lettore a un'esperienza emotiva. L'ideale è che la sembianza della frase sia così intensa che il lettore neppure abbia bisogno di leggerla. Nel senso che esce dalla pagina e la si assorbe, per usarla, voglio dire". Troppo attuale.

 

 

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