Ci
sono porte che restano aperte sulla storia del mondo. Ci sono enigmi
che nessuna fede può svelare e intrighi che, per quanto romanzeschi,
appartengono alla sfera della realtà, se non proprio della cronaca.
C’è, ed è noto, un secolo che sta finendo e una città,
Gerusalemme, predisposta alle rivelazioni e alle apocalissi. Tutto
questo ha in Porta di Damasco,
testimoni fuggenti e protagonisti scomodi. Christopher Lucas è un
personaggio dubbioso per professione (è un giornalista con poca
voglia di lavorare e qualche problema esistenziale da risolvere) e
s'innamora di Sonia Barnes, che è esattamente l'opposto e lo attira
come il polo di un magnete: cantante con la predilezione del jazz,
attivista militante, sufi praticante e fedelissima. Attorno a loro,
che sembrano inseguirsi in un gorgo di lingue, religioni, etnie,
quartieri prende forma un mondo invisibile di predicatori, fanatici,
credenti e folli. Tutti ambiscono coralmente al divino, all'infinito,
a questo o a quel dio e si preparano all'apocalisse, mentre altri,
ben più scaltri ed efficienti, tramano per motivi strettamente
temporali. L’intreccio è esplosivo per più di un motivo: intanto
perché, come ha detto lo stesso Robert Stone, "i personaggi
fanno parte della fiction, ma la storia è realmente collegata
all'attualità" e trattandosi di Gerusalemme, della striscia di
Gaza, di Israele e dell'Intifada non servono altre spiegazioni per
intuire quale tensione strisciante aleggi in Porta
di Damasco. Per altri suggerimenti, basta la
parola dello stesso Robert Stone, scrittore americano con un'innata
passione per Il grande Gatsby,
una frequentazione giovanile del Village di Ginsberg e Kerouac, mezza
dozzina di romanzi alle spalle e un rapporto col cinema di cui non è
troppo fiero. Ha descritto Porta di
Damasco così: "E' una love
story, è un thriller, è un intrigo di poteri politici che lavorano
per distruggere gli uni con gli altri. E' una storia sull'identità,
sulla necessità di un'identità, sulla sua assenza". E' anche
un libro a due facce: nella prima parte di Porta
di Damasco, Robert Stone usa la scrittura
come una specie di registratore portatile e riesce a mettere ordine
nel caos linguistico con un intervento minimo
indispensabile, ricreado il clima
delle chiacchiere dei protagonisti che sembrano sempre ubriachi di
fede, liquori, ma soprattutto di parole perché come dice il più
folle ed innocuo di loro "la vita ha una miriade di forme, ma
un'unica essenza. La sua essenza è impressa in imperiture lettere di
fuoco. Le lettere, le parole, vorticano come foglie". Dalla
seconda parte al carambolesco finale, che si snoda come un assolo di
John Coltrane, Porta di Damasco perde
un po' della complessità e del fascino iniziali e acquista i colpi
di scena, il ritmo e l'attrazione di un thriller o di una spy story.
Con Christopher Lucas sempre nel posto sbagliato al momento giusto:
prima diventa prima la preda designata di una terrificante caccia
all'uomo, poi per un momento gli pare di assistere alla nuova
rivelazione davanti al fiume Giordano, infine sarà di nuovo a
Gerusalemme nel bel mezzo degli scontri tra i militanti arabi e
l'esercito israeliano. In superficie, o meglio in televisione, la
divisione appare così, ma sotto sotto (e non solo in senso
metaforico, ovvero proprio nei cunicoli millenari di Gerusalemme) i
ruoli si ribaltano confondendo così tanto Christopher Lucas che
Robert Stone sente la necessità di precisare: "Era difficile
dire da che parte stessero e cosa volessero tutti quanti perché il
criterio dell'emergenza, su cui si fondava il funzionamento dello
stato, creava improvvisazioni e imitazioni continue. Organismi che in
realtà non appartenevano allo stato si presentavano come statali,
mentre veri organi dello stato fingevano di essere non statali, o
antistatali, o di appartenere ad altri stati". In questa terra
di nessuno dove l'identità è spesso una chimera è logico che
emergano quelle che Robert Stone chiama spesso "miserie umane":
la contrapposizione con l'universo della fede è palese ed è un
motivo in più che rende il finale di Porta
di Damasco realistico e inquietante
nello stesso tempo. Anche se forse avrebbe meritato qualche dettaglio
(e pagine) in più: alla fonte di tutti i complotti e gli intrighi
c'è un potere che trascende completamente quello divino ed è
direttamente collegato all'antico triangolo di sesso, potere, denaro
ed è questa, sembra voler dire Robert Stone, l'unica, plausibile
"storia del secolo".
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