lunedì 24 maggio 2010

Lester Bangs

Evitando le sfumature della leggenda e gli strilli in copertina, Lester Bangs non è mai stato uno scrittore (né grande, né piccolo), e nemmeno un critico musicale, sebbene la sua storia sia indissolubilmente legata alle migliori visioni del rock'n'roll. E' stato, come il primo Tom Waits, una coda brillante della Beat Generation per cui, prima di tutto, un formidabile sognatore, un visionario dagli appetiti abnormi, un commentatore genialoide e frammentario. La traduzione (pur con una ventina d'anni di ritardo) di Psychotic Reaction And Carburetor Dung che Greil Marcus e altri amici misero insieme qualche anno dopo la sua morte lo conferma nemmeno troppo implicitamente. Lester Bangs era troppo disordinato, caotico ed aleatorio per arrivare a vedere con chiarezza gli obiettivi finali di uno scrittore: un romanzo, una sceneggiatura, un saggio, qualcosa con un inizio, delle ipotesi, uno svolgimento e qualche conclusione. Aveva un mucchio di modi per perdere tempo: gli amici delle improbabili rock'n'roll band che duravano lo spazio di un paio di notti, le sue avventure nelle strade di New York, l'ultimo disco dei Rolling Stones, un sacco di alcool e di droghe. Non si contano i progetti cominciati e abbandonati a metà strada. Quello che scriveva, però, era e resta fantastico: grande senso del ritmo, associazioni stranissime e mai gratuite, il diario di una vita con il piede sull'accelleratore. La sua vita. Per questo risultò ancora meno credibile come critico musicale. A parte le cantonate distribuite a piene mai come quando scambiò il cantante dei Guess Who per il nuovo Jim Morrison o incensò i Chicago (per poi disintegrarli tre righe dopo) o giudicò un idiota Iggy Pop (e in questo caso qualche frase dopo era un genio). Era troppo contradditorio, personalistico e (in questo ci ritroviamo) votato alle cause perse. Il disco del secolo, per Lester Bangs, era Metal Machine Music e, va bene il concetto, l'idea, la provocazione, ma sentirlo (tutto) è un altro discorso. Goffo e spietato, si costruì una fama di tutto riguardo con le sue diatribe con i musicisti, in particolare quelle deliranti con James Taylor e Lou Reed, puntanto sempre a sonorità divergenti (“Comincia sempre con quel magnifico errore, la nota pazza e inaspettata che esce di lato e ci libera un'altra volta, non importa come la chiamiamo”), entità misconosciute, con una passione travolgente e senza limite. Però non era organico a niente e nessuno e alcune sue visioni forse erano davvero notevoli e alcuni sprazzi di lucidità erano e restano taglienti. Accostare le poesie di Federico Garcìa Lorca (un poeta che sul rock'n'roll songwriting ha avuto un'influenza determinante) alle canzoni di Astral Weeks è un'associazione più unica che rara. Certo, poi nella recensione del disco Lester Bangs parlava più della sua vita che di Van Morrison, ma il personaggio era così, prendere o lasciare. Accostandosi a Guida ragionevole al frastuono più atroce senza pregiudizi si scoprono pagine memorabili e qualche visione che oggi, pur con tutti i distinguo del caso, è drammaticamente attuale (segno che, nonostante le sbronze e le pillole, Lester Bangs aveva visto giusto). Esilarante quando racconta in John Coltrane è vivo e lotta insieme a noi della notte passata in gattabuia perché ululava con un sassofono sulle scale del suo condominio (“Sono troppo avanti per i miei tempi”, il suo commento una volta in galera). Grande reporter che, al seguito dei Clash, ne coglie subito grandezze e contraddizioni. Polemista coraggioso quando dedica un lungo (e molto sensato) sproloquio (I fautori della supremazia) al razzismo strisciante nella cosiddetta new wave. Una voce fuori dal coro, Lester Bangs. Affascinato da Burroughs, (forse il modello di riferimento più evidente) aveva percepito i problemi del rock'n'roll, dello stardom system, e dei media in generale, ma la sua soglia d'attenzione durava giusto il tempo di un sberleffo, della provocazione, di un aforisma. Aveva capito perfettamente il paese in cui viveva e il suo segreto recondito (“In America non sei tenuto a crescere. Sei tenuto a consumare”), non gli sfuggiva il senso del mondo reale, là fuori (“Una bella fetta del mondo, che i ragazzi non capiscono, è fatta di soldi e di politica. Quando uno capisce la politica, i soldi, il mondo della pubblicità, dove ci sono gli scheletri nell'armadio, allora è maturato a sufficienza da sopravvivere. Fa parte del gioco”) e ha scritto un'apologia dei dischi e del rock'n'roll che vale ancora per tutti noi: “E tutto il senso della tua passione assurda, automatica e ostinata per le incisioni musicali sta nella ricerca di quel momento inestimabile. Quindi non è che i dischi siano in grado di scardinare la mente, ma piuttosto che, se qualcosa deve farti impazzire, tanto vale che sia un disco. Perché la musica migliore è forte, e ti guida, e ti purifica, ed è la vita stessa”. Forse c'era un lato oscuro, una solitudine che si sente tra le righe Guida ragionevole al frastuono più atroce a cui non riusciva a sfuggire. Probabilmente non riusciva ad accettare l'idea che i sogni (del rock'n'roll) diventassero un prodotto (dell'industria). Lester Bangs è stato un moderno Peter Pan e non c'è che fosse un genio, se si prende per buona la definizione del suo maestro, William Burroughs (“Definisco genio tutto ciò che è casuale, imprevedibile, incontrollabile, spontaneo, vivo, capriccioso e arbitrario”). Magari gli servivano meno progetti e più tempo, ma è evidente che era legato a quegli anni euforici e iperattivi e di cui ormai ne percepiva il crepuscolo: “Ultimamente ho cominciato a pensare che non sia più tanto il fatto che tutta la musica attuale è una brodaglia inutile, ma piuttosto che, ammettiamolo, lo spettacolo, in qualsiasi forma, nove volte su dieci non è più tanto spettacolare”. Sarebbe stato interessante vederlo confrontarsi con gli U2, Madonna, i Public Enemy o i Sonic Youth (che gli sarebbero piaciuti). Sarebbe stato interessante sapere cosa ne pensava di Nebraska (alcuni suoi articoli sul primo Springsteen sono illuminanti), ma se ne è andato prima, proprio come una rock'n'roll star. Allora non è tanto peregrina la scelta editoriale di tagliare, rispetto all'originale, l'ultima parte ma (anche se alcune considerazioni rispetto a Lost Highway di Peter Guralnick meritavano attenzione) concludendo Guida ragionevole al frastuono più atroce sulle note dedicate alla morte di John Lennon. A parte il fatto che tempo un paio d'anni e se ne sarebbe andato pure Lester Bangs, con l'omicidio di John Lennon ci conclude davvero una lunga era del rock'n'roll. Quello che molti temevano, dopo le tragiche morti cominciate con Hank Williams, avvenne davanti al Dakota Building. La fine di un'epoca in un modo così drastico e allucinante (il fan che uccide la rock'n'roll star) trascinava tutto nell'oblìo, nello standard, nell'industria. Oggi, a Lester Bangs, al massimo, gli lascerebbero un blog, neanche quattro soldi per una fanzine in bianco e nero.

 

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